
Commenti di autori
vari sulla santa:
-> Girolamo
Gigli (commediografo e poligrafo italiano; Siena 1660 - Roma
1722), autore del Dizionario cateriniano (del 1717 fino alla
lettera R, poi intero nelle Opere: fondato sulle opere di
S.Caterina);opera bruciata pubblicamente a Firenze, il 9 sett.1717
(da Siena d'Autore, di L.Oliveto, ed. 2003 -p.80).
G.Gigli ci ha lasciato anche un sonetto sulla
Santa, posseduto dal Parroco don
Pietro Masi e donato (1712) dal medesimo alla Chiesa del SSmo Crocifisso
di Santa Caterina in Fontebranda: Mentre in forma di servo Iddio piagato,
Del primo Padre, rio porta la spoglia
Ecco la sposa sua, di Piaghe e doglia,
Seco divide, e gli languisce allato:
E dice: se punisci in te il peccato
D' Adam, punisci in me d' Eva la voglia;
Chè 'n sembianza di lei io con te coglia
Quanto amaro diè morte al frutto ingrato.
E d' Eva in me la colpa, e la figura,
Cassa, e distruggi: Indi al tuo fianco accolta,
Fà' ch' io sorga da te nuova fattura.
Prendi la Costa (*), ond' io con Lei fui tolta,
E se mi vuoi dall' Angue rio sicura,
Formami dal tuo Cuor quest' altra volta.
(Girolamo Gigli)
(*) La detta Costola, che
si vede a piè del Crocifisso, è della Compagnia di S.Caterina della
Notte, sotto
le Volte dello Spedale di Siena.
->Bullettino
Studi Cateriniani (AN. I -
N.1, sett.1923, ed. S.Bernardino; Programma):
(..) Caterina Benincasa è l'espressione
caratteristica della natura senese, della cultura spirituale e delle
aspirazioni ascetiche del XIV secolo, che incarna l'ideale civico del
suo tempo, e nello strazio delle quotidiane lotte civili, passa forte e
serena, fra le cupidigie e i turbamenti delle coscienze riuscendo
«colla sua ostinata dolcezza» a far sentire al popolo eccitato dalle
ire partigiane e dalle stragi, la voce dell'amore e della carità.
Nessun'altra Santa appartenne come Lei al suo popolo ed
alla sua città, e poiché la dottrina sua - opera di amore purificata
da ogni umana sozzura - si riflette e rispecchia negli scritti
«che appariscono insieme come fonte di letteraria bellezza e di storica
verità» è nello studio di questi che si può trovare un prezioso
contributo per la storia religiosa come per quella politica, per quella
della lingua come dell'arte di quel tempo così tragicamente agitato.
Siena ha indubbiamente in quest'opera meravigliosa, che pur
fu quella del Passavanti e di Bartolommeo da S.Concordio, esempi
classici di letteratura religiosa; a cominciare dal B.° Giovanni
Colombini fino a Bernardino Albizzeschi: ma l'opera di Caterina pur
nella uniformità della intonazione ascetica, ha una individualità, una
originalità singolare nel pensiero come nello stile, ha locuzioni e
forme che per semplicità e chiarezza, per freschezza d'immagini e di
comparazioni, pochi altri esempi possono superare; onde si comprende
quale efficacia deve avere avuto ai suoi tempi, quella eloquenza che
giungeva prima che alla mente al cuore. (..)
La sua dottrina ed il suo apostolato hanno per scopo di
vincere il cuore dell'uomo ed indurlo al bene: è questo il supremo
ideale suo, che fu felicemente chiamato la teologia
dell'amore.
L'influenza che questa concezione mistica, questa
elevazione morale, hanno esercitato sull'arte è nota; e lo sarà ancor
più quando ne saranno avviati particolari e più profodi studi. Dal
Beato Angelico e da Andrea di Vanni fino al Sodoma e al Beccafumi, da
Sano di Pietro e dal Vecchietta fino a Neroccio, da fra Bartolommeo e
dal Ghilrlandaio fino a Ludovico Carracci ed al Tiepolo, è del più
alto interesse seguire la graduale evoluzione nell'arte
di quel sentimento ideale, che nella figura della vergine Benincasa
tende particolarmente ad esprimere la devozione, il sacrificio, la
rinuncia ai godimenti umani, onde esce una Caterina simbolica variamente
ricostruita nel pensiero dei singoli artisti, attraverso le lettere, le
tradizioni, la fantasia del popolo; elaborazione multiforme della soave
figura, la cui leggenda era tutta una religione di dolcezza e di amore,
che amici e discepoli avevano largamente diffusa, e che il popolo di
Fontebranda si andò formando e trasmettendo di generazione in
generazione fino ai dì nostri.
(..)
(f.to: Consiglio di Redazione)
->
Rosa
Russo Iervolino
(politico)
Caterina, la sua fede, il suo pensiero, la sua forza di
espressione, il suo splendido italiano sintetico e incisivo, la sua
esperienza, la sua fortissima personalità di donna e di santa, sono
dinnanzi a me come una fonte viva, limpida, zampillante di verità nella
quale non ho la santità e la competenza di attingere a pieno.
("Caterina da Siena, l'uomo, la società"; Quaderni del
C.N.S.C., n.1986 p.52)
->
Giulio
Andreotti
(politico,
n. Roma 14.01.1919)
Caterina fu donna, straordinariamente donna. Gli accenti
plastici, violentemente icastici del suo dire, potrebbero far pensare
invero a qualcosa di poco femminile. Questa travolgente potenza esprime,
invece, a ben guardare, una motivazione di affetti, ove si mostra tutto
il fascino e l'ardore di una madre. E squisitamente femminile è pure
l'osservazione attenta e la dolcezza commossa delle sue metafore, tratte
dalla natura e dalla vita di ogni giorno. La sua prosa, semplice,
incalzante, cruda, eppure immensamente poetica, nella sua immediatezza
popolare, testimonia, dunque, una straordinaria femminilità: dirompente
certo, e massiccia, più da madre dei Maccabei che da evanescente
"donna angelica".
(Celebrazione 50° procalmazione SS. Patroni d'Italia - S.Francesco e
S.Caterina
Patroni d'Italia; ed. Cantagalli, Siena, 1990, p.7)
->
Federigo
Tozzi
(scrittore italiano; Siena 1883 - Roma 1920), commenta Luigi Oliveto:
-...rimarrà affascinato dalla "eccitazione"
della parola cateriniana, da quel linguaggio che pare strumento di
scandaglio della
realtà e dell'essenza dell'uomo; tanto che opererà una scelta delle Lettere
della santa nel libro
Le cose più belle di Santa Caterina da Siena (*).
Sarebbe
interessante - ma non può essere certo questa la sede - una analisi
della prosa
tozziana, una schedatura dei suoi lemmi, di
certi frangimenti sintattici, per ritrovarvi suggestioni e
"prestiti" di Caterina da Siena. La lingua di Caterina è
"parlata" poiché, come è noto, era analfabeta: imparò a
scrivere soltanto qualche anno
prima della morte. Le furono
segretari-trascrittori alcuni giovani intellettuali:
Neri di Landoccio Pagliaresi (il
sensibile poeta che, alla morte della santa, scrisse
i versi: «Al cielo è tornata la sposa allo sposo, l'amorosa all'amoroso, e all'amante l'amata»); Jacopo del
Pecora; Barduccio Canigiani,
che raccolse tutto il Dialogo della Divina Provvidenza. Comunque
in famiglia Benincasa qualche
cromosoma letterario sottostava:
Nuccio di Piacente, avo materno di
Caterina, materassaio e poeta, si lamentava, infatti, in versi con
l'amico Guido Cavalcanti: «I miei sospir dolenti m'ànno stanco
/ ch'escon di me per forza di
dolore...».
(Da: Siena d'Autore di L.Oliveto, ed.Provincia di
Siena 2003, in La santa letterata)
(*) In Cose e Persone di G.Tozzi (Vallecchi FI, 1981), ora in
Opere (Mondadori MI, 1995). -Altro scritto:
La città della
vergine (1913), ispirata dalla lettura di S.Caterina.
->
Luigi Oliveto (giornalista, scrittore; n.Siena 1947) scrive:
Coerentemente con i nostri intenti,
è di Caterina Benincasa scrittrice
che vorremmo dare qualche cenno.
Due le opere fondamentali:
l'Epistolario e il Dialogo della Divina
Provvidenza.
Lo stile di
Caterina, in volgare toscano, sorprende per l'armonia espressiva
che sa alternare il tono "alto" dell'istanza interiore
con quello oltremodo "piano"
che scaturisce dalla quotidianità. Quando il beato Raimondo da Capua
decise di volgere in latino il Dialogo
della Divina Provvidenza
si trovò in non poche difficoltà, così che nel Prologo ritenne
di dover precisare: «Altissimo è certamente lo stile di
questo libro, sì che a mala pena trovasi maniera di parlar
latino che possa corrispondere
all'altezza di questo stile, com'io stesso ne faccio esperimento, ora
che m'affatico a trasportarlo in quell'idioma».
Dunque,
ecco Caterina Benincasa, letterata ardita nelle metafore e nei traslati:
«Oh pazienzia, quanto sei
piacevole! oh pazienzia, quanta speranza dai a chi ti possiede! o
pazienzia, tu sei reina, che
possiedi, e non se' posseduta
dall'ira. O pazienzia, tu fai giustizia della propria sensualità, quando volesse mettere il capo fuore,
dell'ira. Tu porti teco un coltello
di due tagli per tagliare e dibarbicare l'ira e la superbia, e il
mirollo della superbia e impazienzia; cioè, dico due tagli, odio e
amore. E il vestimento tuo è vestimento di sole, col lume del vero
conoscimento di Dio, e col caldo della divina carità,
che gitta raggi co' quali percuoti coloro che ti fanno ingiuria,
gittando loro carboni di fuoco,
accesi di carità, sopra il capo loro, il quale arde e consuma
l'odio del loro cuore. Sicché
dunque, pazienzia dolce fondata in carità,
tu sei quella che fai frutto nel prossimo, e rendi onore a Dio.
Egli è ricoperto, questo tuo
vestimento di stelle di varie e diverse virtù; perocché pazienzia non
può essere nell'anima senza le stelle di tutte le virtù, con la
notte del conoscimento di sé, che quasi pare
uno lume di luna. E dopo il cognoscimento
di sé medesimo viene il dì, col lume
e caldo del sole. Il quale è il vestimento della pazienzia, come detto
è. Chi dunque non s'innamorerebbe di così dolce cosa, quanto è
la pazienzia, cioè, a sostenere per
Cristo crocifisso?».
(Lettera CIV)
(Da:
Siena d'Autore di L.Oliveto, ed.Provincia di Siena 2003, in La
santa letterata). ->
Idilio Dell'era,
in arte; scrittore,
don Martino
Ceccuzzi (n. l 904 Asciano, Siena; m.1988
Manziana),
pellegrino di bellezza.
(La Patrona d'Italia, dal 1953 fino alla scomparsa
dell'autore ha pubblicato i suoi
scritti e le sue poesie).
-Poesia
a Santa Caterina:
da
La Patrona d'Italia: luglio-ottobre 1964
O
CATERINA ROSA SENZA SPINA
Estate
che di lume empi le vie
ed
i selciati affochi come vene
che
ardono di infinite nostalgie,
io
so qual sogno dentro te si tiene,
quale
visione dentro si matura.
Le
tue caldezze mistiche son piene
come
se ogni bastione fosse arsura
di
sangue ed ogni torre fosse un fiore
di
sangue e il volto di ogni creatura
del
divin Sangue asperso e del Candore
dell'
Agnello che vittima innocente
si
svena per ridar forza e calore
e
quest'anima enorme di vivente,
penso
la Donna che di sua semenza
vermiglia
coronò l'eccelsa mente.
Gemme
di sangue scese con veemenza
di
un rutilante cantico di stelle,
Ella
sentiva in voi tutta l'ardenza
che
l'anime purifica e fa belle.
Dentro
le grandi notti vi sentiva
scendere
pure fervide, a giumelle,
dalla
Croce che l'estasi Le apriva,
color
di foco. E nel feroce attrito
di
spade il sangue, il Sangue Ella avvertiva;
pace
implorando. Sangue nel tradito
cui
pane è il pianto e la catena dura,
e
dei bimbi nel riso indefinito,
nella
prece che al Ciel s'alza sicura,
e
nel salire di una dolce albata
e
nel grembo dei fior che il sole alluma,
e dei
tramonti in una nuvolata
di
fulva gloria. De la nostra vita
il
prezzo conoscevi, o Fortunata.
Ecco
la Chiesa fulgida ti addita
Patrona
d'Italia. Esulta o Figlia
di
Fontebranda. Rossa, redimita
di
secolare storia, oggi s'ingiglia
la
tua città che piacque al Poverello,
serafino
di arcana meraviglia.
Egli
al fianco ti sta quale fratello:
o
Caterina, rosa senza spina,
con
lui distendi il candido mantello
dall'
Alpi nostre sino alla marina,
in
ogni lembo dove la Patria ha un figlio,
rendi
la terra tua quasi divina.
-Racconti:
da La mia Toscana, ed. L.Pugliese, Fi. 1984 (p.83)
«Anche
il ricordo di Santa Caterina è
legato all'acqua. Si
racconta infatti che la Mantellata di Fontebranda, capitando d'inverno a
Villa a Sesta (*), venisse ospitata da una famiglia povera, tanto povera
che in casa non si nutrivano che di ulive e di castegne secche, ma il
peggio si era che non potevano nemmeno lavarsi il viso e trovare un
bicchier d'acqua. Tutto gelato e la neve marmata che ci voleva il
piccone. Quei poveretti esposero alla Santa i loro bisogni e le loro
ambasce. Caterina uscì di casa e, con quella gente, si allontanò a un
tiro di sasso fuor dell' abitato. C'era una fonte ma coperta dal gelo
non lasciava intravedere neppure uno stillicidio. La Santa vi tracciò
sopra un segno di croce e subito dal ghiaccio zampillò un bel rivolo
tepido che invogliava a bere. Tuttora quella fonte, quando cadono le
galaverne, mantiene un tepore piacevole e si ricusa di ubbidire al
sibilo del vento che mozza il fiato.» - (*) Castelnuovo Berardenga (Si).
-
Poeti
Caterinati (da
La patrona d'Italia, nov-dic 1986; Il Ponte, gen2009)
Non
potevano e non dovevano mancare i poeti nella sua famiglia poverella:
queste creature che più vicine ai Santi che agli uomini passano nel
mondo, con un dono canoro nell'anima, sono un soffio di cielo in
un'anfora di argilla.
Tre furono i poeti che più amarono
Caterina e la cantarono ancora viva: Anastagio di Monte Altino, Giacomo
del Pecora e Neri di Landoccio dei Pagliaresi. Ma quest'ultimo, giovane
di nobile famiglia senese, dall'anima languida e crepuscolare, fu il suo
prediletto. Se lo prese per suo segretario e lo tenne caro fino alla
morte. Tuffato nell'atmosfere della "mamma" il poeta
fantasioso, al contatto della santità di lei, cominciò a scoprire la
gracilità della propria anima e a vedere quanto fossero diverse le cose
dalla realtà. Un nonnulla lo faceva trepidare; gli scrupoli lo
tormentavano come una siepe di pruni, ed egli vibrava come "foglia
mossa dal vento". Pensava che mai avrebbe potuto salire la vetta
dalla quale la "mamma" lo chiamava. Essa gli frugava nel cuore
rianimandolo.
Voglio - gli diceva - che la tua confusione si consumi e
venga meno nella speranza del sangue e nel fuoco dell'inestimabile
carità di Dio. E non è egli più atto a perdonare che noi a peccare? E
non è egli il nostro medico e noi gli infermi? Portatore delle iniquità?
E non ha egli per peggio la confusione della mente che tutti gli altri
difetti? Si, bene. Carissimo figliuolo, apri l'occhio dell 'intelletto
tuo col lume della santissima fede e ragguarda quanto tu sei amato da
Dio. E per ragguardare l'amor suo e l'ignoranza e freddezza del cuore
tuo, non entrare in confusione.
E quanto più vedi te non corrispondere a tanti benefici
quanti t'ha fatti e fa il Creatore, più ti umilia e di' con
proponimento santo: "Quello che io non ho fatto oggi, lo farò
ora!". Sai che la confusione si scorda in tutto della dottrina che
sempre t'è stata data. Ella è una lebbra che dissecca l'anima e il
corpo e la tiene in continua afflizione e lega le braccia del santo
desiderio e non lascia adoperare quello che vorrebbe; e fa l'anima in
comportabile a se medesima, con la mente disposta a battaglie e
diverse fantasie; le toglie il lume soprannaturale e le offusca il lume
naturale. E così giunge a molte infedeltà, perché non conosce la
verità di Dio con la quale egli l 'ha creata. Adunque con la fede viva,
col desiderio santo e con speranza ferma nel sangue, sia sconfitto il
demonio della confusione.
Un altro poeta, il più strano di tutti, Caterina andò a
stanarlo nei boschi di Lecceto, o per esser più precisi a San
Leonardo al Lago, ma i due luoghi, tra loro poco discosti, non sono
che nidi di un medesimo albero. La distinzione se mai va fatta perché
a Lecceto - antichissimo focolaio di misticismo - stavano i frati di
Sant'Agostino, chiusi nelle loro celle, a vivere col priore in comunità;
a San Leonardo invece i romiti amanti più della solitudine che dei
muri dell'abbazia. In seguito si fusero. Lecceto era stato un po' come
il vivaio che aveva popolato gli eremi, i dintorni di Siena e la
Maremma. Se ne trovano anche oggi dappertutto mutati in fattorie o in
case da contadini. San Leonardo al Lago giace ai piedi di una collina
fosca di lecci con in fondo uno specchio d'acqua che a quei tempi era
un pelago. I monti rincalcagnati e quasi tragici che lo sovrastano e
scorciano il giorno con la loro ombra frigida e nera, conservano
nell'aria il ricordo del bandito e del romito. I romiti dalla lunga
barba avevano una buca per uno scavata sullo sguancio della collina:
nuda, con una croce piantata davanti, e sotto illagb morbido e liscio.
Curvi su un teschio, inginocchiati davanti alla capanna, si martoriavano
il petto con la punta di una pietra. Discorrevano con Dio, ma le loro
parole erano cOlie e dure e il loro dialogo durava tutta la vita.
Radici ed erbe amare il loro cibo e scarso il sonno. La sera, ciascuno
si buttava sullo strapunto di foglie o addirittura per terra,
immaginando che non avrebbe riveduto il giorno: immobile, con la mano
sul petto, per sempre. E di notte, sotto le stelle, le croci della
vallata spiccavano come un cimitero, simili ad ali aperte al volo.
Caterina trovò dunque laggiù un altro poeta: era un inglese che aveva
studiato a Cambridge e si chiamava al secolo William Flete, e fra' Guglielmo nell'Ordine. Alto, con due occhi di
un azzurro quasi vetrino, si moveva nella tonaca colore di foglia secca,
saltellando.
"Andava dalla chiesa alla foresta e dalla foresta alla chiesa"
ma di rado, quand'era costretto per Ilecessità. "Evitando ogni
rapporto con gli uomini" stava bene soltanto nella sua grotta, con
i libri sparsi per terra. Fine e di buon gusto, s'era scelto il luogo più
ameno, ai piedi del monte, vicino all'acqua, che gli inargentava col suo
brillare la caverna. E intorno qua e là alberelli di agrifoglio che
insanguinavano con le loro bacche la radura del bosco. Caterina
si accorse che il poeta romito era troppo geloso di quella solitudine. E
lo rimproverò del suo egoismo, esortandolo a vivere non per le proprie
consolazioni, ma "ad attendere e udire e avere compassione alle
fatiche del prossimo e specialmente a coloro che sono uniti a una
medesima carità".
Ma egli, per quanta ammirazione avesse per lei non la
capiva.
Col sentimento di una celeste presenza, la guardò con i
suoi occhi nordici e tornò a curvarsi sui libri sparpagliati per terra.
(Idilio Dell'Era)
-Gentilezza
della Santa Popolana
(da: Patrona d'Italia, gen/feb1960;
Il Ponte, dic.2008nel
ventennale
della scomparsa dello scrittore: 1988-2008)
Non è difficile discoprire le virtù paesane che Santa
Caterina portava in sé comparandole a quel poco che resta di
tipicamente nostrale. Multipla intanto e inafferrabile come i panorami
della sua terra è la vita di Caterina. Da piccola
si direbbe una di quelle fanciulle romantiche e ideo se di cui mal si
indovina l'avvenire: stravaganza e irrequietezza tra le tinozze del
padre tintore: fughe dalle domestiche pareti e tentativi di vita
eremitica. Tuttavia i biondi capelli, quando staccia alla madia, se li
imbianca di farina, arrossa il viso alla vampa del forno e i lucidi
occhi si accendono di gioia: attizza il fuoco e le sue candide mani si
screpolano e sanno la fatica del bucato, conoscono l'ago e il fuso
nelle serate d'inverno sotto la cappa del cammino nel riverbero del
lumino a olio. Dalle faccende di casa trarTà poi le immagini
comparative più belle e più patetiche: l'ago le fornirà l'idea della
brevità del tempo, il coltello a due tagli quella del vizio e della
virtù, ovvero dell'odio di sé e dell'amore di Dio, e le lucerne che
splendono nel buio raffigureranno gli Apostoli. Perfino la pignatta che
borbotta sui tizzi accesi e svapora scacc ciando le mosche, le farà
venire in mente il Diavolo che se ne va fugato dal fervore della
preghiera. Caterina sapeva che cosa voglia dire famiglia. Non per
nulla volle crearsene una tutta particolare e ideale e, negli ultimi
suoi anni, vivevano con lei più di ventiquattro persone dalle quali
ambiva di farsi chiamare "mamma". Amava l'onore nella famiglia
e nutriva pel vecchio genitore una venerazione pavida e affettuosa: e
d'amorosa tenerezza circondava Lapa, quantunque la canuta genitrice,
col suo fare popolano che trova, come Agnese di manzoniana memoria, le
soluzioni più sbrigative ai casi della vita, le intracciasse il
cammino. E una volta che i fratelli trascurarono la mamma. Caterina li
rimprovera "O ingratitudine! Non avete considerato la fatica del
parto, nè il latte che ella trasse dal petto suo, né le molte
fatiche che ella ha avuto di voi e di tutti gli altri? Voi siete
obbligati a lei, non ella a voi. Ella non trasse la carne di voi, ma
ella die' la sua carne a voi. Pregovi che voi vi correggiate di questo
difetto e degli altri che se io non amassi l'anima vostra non vi direi
quello che vi dico".
E
quante premure per quei suoi fratelli che non ebbero mai fortuna! Ella
li seguirà nel loro squallido vagabondare e "Benincasa - dirà al
più grande ~ tu sei il maggiore, ti voglio essere il minore del minore
e te Stefano prego che tu sia soggetto a Dio e a loro. Così dolcemente
vi consacrerete in dolcissima armonia". Donna di casa, Caterina
considerò la famiglia come un'aiuola in cui si formano i caratteri e
sbocciano le virtù, sebbene del popolo minuto, oggi si direbbe
democratico, pare respirò fin da bambina~quella nobiltà interiore che
i senesi non hanno mai smentito e che fonna la loro sostanziale gentilezza.
Violenta e dolce ridusse il "vasello" del suo corpo
all'essenziale tanto che le bastasse a reggere l'anima per dire
"voglio!". Nella sua vita come nelle Lettere non echeggia che
questo imperativo: comanda alla sua bocca di accostarsi alle piaghe di
Andrea la cancerosa e di suggerne la marcia, ai suoi occhi di non
chiudersi al sonno. ai suoi piedi di camminare di tugurio in tugurio, di
regione in regione sino ai chiari approdi del Rodano e ai lidi di Enea.
Il suo "voglio" è un comando che muove re, principi e papi e
a cui Cristo stesso obbedisce. Ma il "voglio" che ella grida
ricevendo nelle tiepide mani la bella testa di Tuldo è come un canto di
alleluia che risuona nell' eternità. E il finale della sua esistenza
breve, prodigiosa e intensa è tutta e sempre in questo
"voglio" ... Vide la città di Roma piena di demoni che
incitavano quello popolo contro al papa per la sua morte: poi si
mm'evano contro di lei con voci e grida terribili dicendo: maledetta sii
tu che sempre ti sforzi d'impedirci, ma noi non ci staremo che di te
faremo aspra vendetta e con molta tribolazione e pena ti daremo
morte". E orando la Vergine più fervorosamente, le rispose il
Signore "Lassa, figliola mia: lassa questo malvagio popolo tàre
la pessima iniquità acciocché per questa e per l'altre loro iniquità
che molte sono, la mia divina giustizia gli punisca secondo che meritano
e che aperta la terra, vi discendano all'inferno". Caterina alza le
esili mani supplicando "lo voglio che ciò non avvenga". E non
avvenne. Ma le sue fragili spalle si curvarono a sostenere la
navicella di Pietro e da quel peso fu schiacciata. V olenterose e fiere
al pari di Caterina, le belle donne di Siena nell'assedio del 1555, in
numero di tremila si buttarono alla lotta per la loro indipendenza,
armate di picconi, di pale, di ceste e di fascine al comando della
Forteguerri, della Piccolomini e della Fausti: i loro vestimenti
violacei, rossi e bianchi rosseggiavan di sangue e di passione. Altre
donne come la beata Anna Taigi, in tempi a noi più vicini
raccoglieranno l'eredità volitiva della figlia del tintore di
Fontebranda per gettarla semente d'oro, ai quattro venti. Siena
taciturna e pensosa ancor oggi conserva questa primigenita forza e
quando erompe -- due volte all'anno - i suoi rioni cantano di voci
appassionate: in quell' eco c'è tutto il suo passato.
(Idilio Dell'Era)
-Paesaggio
Cateriniano
(da La Patrona d'Italia,
gen/marzo 1958; da
Il Ponte, nov.2008)
Se
c'è un paesaggio che abbia mantenuto intatto il sentimento dei suoi
pittori e dei suoi mistici, questo è il paesaggio senese, fatto di
collicelli calvi nell'orizzonte tanto che le belle mattine sembrano un
soffio di cielo, di vegetazione labile e rada, di stradine a sterro fra due
muri monacali, di fiumicelli che appocano senza voce e dovunque ti
volti, ritrovi un rudere di convento, la leggenda di un Beato, il
ricordo di un Santo.
Paesaggio sempre vario dove costante persiste l'ulivo e il
cipresso: terra d'ocra che squilla al sole, rossolina
come una lacrima di sangue, calcinaia come un volto in agonia, cretaiona
che si corruga d'ombre, olivata e timida, rotonda e ondulata,
cespuglio sa di rose e di lecci, parsimoniosa sempre e musicale come il
linguaggio della sua gente. I suoi colori sono netti e scanditi: le
stesse piazze, le strade, i palazzi, le torri, le basiliche della città
si accendono di rosso, di ferrigno, di candore, di lutto. A una spera di
sole, Siena brilla e scintilla coi marmi della sua cattedrale, a una
nube che passi si imbroncia e incupisce. E' il carattere lirico dei
suoi abitanti, violenti e dolci, ombrosi e affabili, ciò che a torto,
genera in chi non li conosce il sospetto di un'arretrata grettezza.
Eppure certe caratteristiche dei senesi sono reperibili - e non
potrebbe essere altrimenti - sebbene rese luminose dalla santità, in Caterina
Benincasa che passa dalle invettive più crudeli alla supplicazione
della più dolce misericordia: sta coi piedi nell'Inferno dei
peccatori e col candido volto nel Paradiso dei Beati: popolana e
aristocratica, donna di azione e di contemplazione, illetterata e
scrittrice della più schietta e limpida prosa del trecento.
Se il "De Contempu Mundi" di Lotario Diacono è il
paesaggio funereo, di notti fitte di buche, l'Epistolario
cateriniano è il paesaggio senese invariato nella luce dei suoi colli
svirgolata di cipressi, dei suoi eremi taciturni e obliati, dei viottoli
di bosco che sanno di spigo, delle sue torri merlate e assorte, dei
chiassuoli inerbiti, degli entroni e delle ogive dei suoi palazzi. A
furia più di nominarle le persone che abitarono con lei rapite dal suo
messaggio ci sono divenute confidenziali e non sembrano neppure di ieri,
ma di sempre, cognomi nostrani come quello di Stefano Maconi, di Andrea
Vanni, di monna Alessia Saracini. E Nanni di ser Vanni Savini, il
barbuto masnadiero di Belcaro ci rimane interessante al pari di William
Fleete il nordico eremita di San Leonardo al Lago.
Ma a differenza delle tavole dei nostri pittori che hanno il
fondo oro, il paesaggio cateriniano è vivificato
dal fondo sangue: si direbbe il paesaggio penante delle crete tinte di
estasi e di martirio, la campagna di Monteoliveto scarna e magra che al
Sodoma suggerì quel mirabile Cristo fra le due Marie.
Si è detto che il Medioevo è cristocentrico all'opposto
dell'Umanesimo antropocentrico: e Caterina ha visto al centro
dell'universo il Cristo che sulla Croce rimarrà in agonia fino alla
consumazione del mondo.
Nel motto "Fuoco e sangue" si compendia la sua
teologia. Non c'è sangue senza fuoco, scriveva ad Urbano
VI, poiché fu sparto con fuoco d'amore.
Tutte le sue Lettere hanno inizio con questo segno rosso: "Vi
scrivo nel prezioso sangue suo n. E
al suo confessore comanda: "Annegatevi nel sangue di Cristo
crocifisso, e bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso, bagnatevi nel
sangue, e inebriatevi nel sangue, e vestitevi di sangue. E se foste
fatto infedele, ribattezzatevi nel sangue: se il demonio vi avesse
offuscato l'occhio dell'intelletto, lavatevi l'occhio col sangue: se
fuste pastore vile senza la verga della giustizia, traetela nel sangue.
Nel caldo del sangue dissolvete la tiepidezza; e nel lime del sangue
caggia la tenebra ... E di nuovo mi voglio vestire di sangue e spogliarmi ogni vestimento ... io
voglio sangue e nel sangue satisfò e satisfarò all'anima mia ...
voglio nel tempo della solitudine accompagnarmi nel sangue: e così
troverò il sangue e le creature: e berrò l'affetto e l'amore loro nel
sangue".
Ci sarebbe da mettere insieme un "Trattato del Preziosissimo
Sangue della Redenzione" con un quinto delle opere cateriniane,
spigolando dalle Lettere e dal Libro della Divina Dottrina, e facendo
notare il bel modo di esporre chiaro e pacato della Benincasa
"Avendo perduto l'ignorante uomo la dignità e bellezza della
innocenzia per la colpa del peccato mortale, essendo fatto disobbediente
a Dio: e mandò il Verbo unigenito suo Figliuolo, ponendogli
l'obbedienza che col sangue suo ci rendesse la vita e la bellezza
dell'innocenzia; perché nel sangue si lavava e lavano le macchie de'
difetti nostri. Adunque vedi che nel sangue si trova e gusta la bellezza
dell'anima. Bene ci si debbe l'anima annegare dentro, acciocché
meglio concilia amore ad onore di Dio e salute delle anime" (Lett.
108).
Ma forse nel compilare un estratto della dottrina
cateriniana sul Preziosissimo Sangue rischieremmo di ripetere l'errore
di quanti hanno incluso e S. Francesco e S. Caterina nelle storie della
letteratura italiana, facendone una quistione di estetica. L'estetica,
la critica, l'esegesi, financo l'oratoria ci hanno incrostato l'anima
per cui non ci giungono più al cuore i loro messaggi folgorazioni
della Grazia.
Tra loro e noi c'è un ingombro, un riempitivo,
talvolta un preconcetto insuperabile, un'idea cristallizzata: e del
Poverello di Assisi e della Santa di Fontebranda non vediamo che la
parte coloristica, dimenticando che ambedue, crocifissi con Cristo, ci
hanno indicato il prezzo del nostro riscatto nel Sangue dell'Agnello ma
anche il merito individuale della sofferenza e della penitenza,
"Qui fecit te sine te, non salvabit te sine te".
Il paesaggio cateriniano è pertanto vermiglio nel
Sangue di Cristo e non si limita o circoscrive alla terra in cui la Benincasa
nacque, crebbe, operò miracoli, ma è dovunque sia un'anima battezzata,
una croce dinanzi a cui si dica la Messa. Troppo poco comprendiamo S.
Caterina, perché troppo poco comprendiamo la Messa. Se è vero, come
è vero, che una notte in visione Cristo fece appoggiare a Caterina la
bocca sul proprio petto ed essa potè bere a gran sorsi di quel pane che
sgorga eternamente da Lui, che cosa la Messa offre all'anima assetata se
non il Sangue di Cristo?
Nel paesaggio cateriniano o ci si nutre del Sangue di
Cristo o si muore. "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue
ha la vita eterna e io la resusciterò nell'ultimo giorno"
(Giovanni, c. VI. V.55).
(Idillio Dell’Era)
-Caterina
e Pio II che la canonizzò:
(da Il Ponte,
mag.2009)
[..]Caterina
fu definita
dal Tommaseo "il più grande prosatore del secolo". Le sue
lettere belle e melodiose come il linguaggio dei bambini ci sollevano in
una cerchia di pensieri inusitati e infiniti. E in quelle lettere,
osserva Federico Tozzi, ritroviamo quelle parole di cui abbiamo bisogno
quando più ci chiudiamo in noi medesimi: possiamo anche trarne
ispirazioni di forza, come forse nessuna filosofia possiede perché la
santità di Caterina è, innanzitutto, una purificazione umana che non
perderà mai né di significato né di freschezza.
L'attività di Pio Il,
che regnò solamente otto anni, apparisce sbalorditiva: in trentatre
anni di vita, Caterina lasciava in Europa un'impronta quale solo,
qualche secolo prima. Il Poverello d'Assisi aveva lasciato. Fortemente
volitivo, Pio Il ravvisò in Caterina le virtù dei suoi concittadini,
non solo, ma degli italiani di tutti i tempi: la fierezza e la dolcezza.
Poche donne scrisse Giovanni Papini, hanno espresso il meglio dell'anima
italiana come Caterina da Siena. Non solamente Ella raccoglie in sé i
tratti più amabili e profondi di quella italica gentilezza famosa nei
secoli, quanto il genio creatore del nostro popolo, ma si dimostrò,
nell'ordine dell'azione, cittadina amorosa e vittoriosa. Fu mirabilmente
italiana nella tenerezza e nella soavità dell'animo che non le impediva
di essere fiera e violenta quando si presentasse il bisogno. Al pari di
tutti i grandi italiani seppe essere contemplativa e fattiva, artista e
diplomatica, capace di vivere nella solitudine per lunghi anni e poi di
penetrare nelel case e nelle corti per assoggettare cuori e
voleri.
(Idilio Dell'Era)
->
Chiara Lubich (n.22.01.1920
a Trento; m.Roma 14.03.2008)
Discorso che la Fondatrice dei Focolarini fece nel settembre del
1987 nella Basilica Cateriniana in occasione della targa cateriniana che
la Comunità dei Padri le conferì. Chiara Lubich esaltò Santa Caterina
da Siena come modello ispiratrice suo personale e del suo movimento. (
Da Santa Caterina da Siena la Patrona d'Italia Riv. Bimestrale anno XLII
settembre - ottobre 1987 ).
Caterina da
Siena una vita per la Chiesa
«Caterina
da Siena. Che cosa ha di particolare questa figura di donna che,
nonostante lo scorrere dei secoli, vive più che mai nella coscienza
cristiana e si riscopre ad ogni epoca come colei che ha sempre una
parola da dire, un fascino che trascina, una sovrannaturale bellezza che
affascina, soprattutto uno spirito di tanta attualità e modernità?
Come mai molti e molti cristiani vivono o vivacchiano il loro
cristianesimo e non lasciano che poco o nessun ricordo, mentre questa
cristiana, più passa il tempo, e più la chiesa la glorifica e i figli
della chiesa godono di tanto onore? Ci vorrebbero volumi per rispondere
adeguatamente, per citare le innumerevoli grazie straordinarie ed i
miracoli e la sapienza che riempirono la sua prodigiosa vita. Eppure
credo che si potrebbe rispondere anche con una sola parola: il fatto è
che Caterina è un'anima-Chiesa. Caterina è una creatura nel cui cuore
la carità arde così dilatata da essere simile a quella del cuore di
Cristo, con un amore che diventa vera, santa passione per la Chiesa. Pur
avendo suscitato una corrente religiosa, i " caterinati ", che
seguivano la sua spiritualità sintetizzata nelle due parole: "
fuoco e sangue ", non è quella la sua opera principale, ma
piuttosto il lavoro indefesso per riportare il Papa a Roma. E' chiaro
che qui si spazia nell'apertura totale ai problemi della Chiesa. Se si
analizza il suo apostolato si è toccati dalla medesima impressione.
Caterina,
a un certo momento, passa da un piano privato ad uno pubblico. Se
Caterina ha a che fare, ad esempio, con un cardinale, lo considera nel
contesto dell'influenza che costui ha nella Chiesa. Se ha rapporto con
un principe, lo segue anche nella sua azione politica. Costui è sì suo
discepolo; ma Caterina lo ama non per sé, ma puramente per Dio in lui,
per la Chiesa in lui, per l'umanità in lui. Ella condivide con tutti i
suoi figli le loro lotte, le loro ansie, tutto ciò di cui essi vivono.
E se essa tiene poi una fitta corrispondenza, oltre che con uomini e
donne delle più umili condizioni, anche con personalità
ecclesiastiche e civili, se si interessa alle notizie degli avvenimenti
pubblici, è perché la sua apertura ha la misura della Chiesa e della
umanità. Se la sentiamo poi pregare, nessun dubbio può sfiorarci che
ella ha un solo grande amore. I suoi desideri e le sue domande a Dio
sono per la Chiesa: "O Dio eterno ricevi il sacrificio della mia
vita in questo corpo mistico della santa Chiesa. lo non ho da dare altro
se non quello che tu hai dato a me. Tolli il cuore dunque, e premilo
sopra la faccia di questa sposa", Caterina non ha pace finchè la
Chiesa non ritrova l'unità attorno al Papa. Non è secondario poi nella
vergine senese il lato dottrinale, se per la sua sapienza è stata
proclamata dottore. Caterina scrive dei libri che Gesù stesso le
detta. Eppure, è riconoscente verso fra Raimondo di quel che con la sua
dottrina fa per lei. Egli le garantisce di stare nella fedeltà dell
'insegnamento della Chiesa. Caterina agisce come i veri riformatori.
Sottopongono le loro illuminazioni o rivelazioni a chi può dir loro il
pensiero della Chiesa, e si fanno guidare da quelli per i quali a volte
essi stessi sono, in altra maniera, la guida. I falsi riformatori, al
contrario, stigmatizzano l'errore con freddo giudizio e si separano.
Caterina non si scandalizza e non si ritrae dinanzi alle sconcertanti
deviazioni della Chiesa di allora. E trova sempre il modo di vivere il
suo “essere Chiesa".
Quando ad esempio, proprio lei sembra oggetto del malcontento del Papa
di allora, sfrutta quella stessa situazione per collocarsi più dentro
al cuore del corpo mistico, e così scrive al pontefice: "
Santissimo Padre... se voi mi abbandonaste pigliando dispiacere e
indignazione verso di me, io mi nasconderò nelle piaghe di Cristo
crocefisso, di cui voi siete il vicario: e so che mi riceverà perocchè
egli non vuole la morte del peccatore. Ed essendo ricevuta da lui, voi
non mi caccerete"; sicchè, conclude Caterina, ancora insieme
“staremo nel luogo a combattere viri1mente per la dolce sposa di Cristo".
Caterina, proprio quando si sente più debole, è allora che si
considera più Chiesa e fa della sua debolezza la sua gloria. E'
totalmente dimentica di sé, altro non vede e altro non ama che
l'interesse della Sposa di Cristo. Perchè arde il fuoco di Cristo nel
suo cuore, sente forte il senso della Chiesa come famiglia. Lei stessa
ha una famiglia spirituale e vive senz'altro per essa. E a tal punto vi
si prodiga, che fra Raimondo può confessare: "Noi tutti di
conseguenza chiamavamo mamma la vergine, perché lei era davvero per
noi la mamma, che ci partoriva giorno per giorno dal seno della mente,
finché non si fosse divenuti esemplari di Cristo". Ma nello stesso
tempo, la famiglia di Caterina è la Chiesa intera. Ella è talmente
presa dall'amore per essa da assumere, con sbalorditiva immediatezza,
degli atteggiamenti di autorità materna; e spesso taglia corto, nelle
intricate questioni della Chiesa, dicendo la sua determinazione, con una
formula perentoria come questa: " E' volontà di Dio e mia".
Qualcuno può dare al suo comportamento questa motivazione: Caterina
parla così perché la sua volontà coincide ormai con la volontà di
Dio. Sì, la sua volontà coincide con quella di Dio, ma è anche la
sua, perché lei è Chiesa e partecipa in qualche modo della maternità
della Chiesa verso tutti. Nella forza con cui afferma la propria
volontà, si sente infatti non l'autorità giuridica, che Caterina non
ha, ma quella materna di chi tutto ha dato per tenere insieme unita la
famiglia di Dio: un'autorità simile a quella di Maria. La Chiesa,
oltre a essere la sua famiglia è anche la sua casa, la sua città.
Chiara Lubich (da: Il Ponte, maggio 2008,
Parrocchia S.Domenico, Siena)
->Adriana
Odasso (studiosa della Santa, ha pubblicato vari articoli ed
opuscoli; vive a Roma) scrive nel 1999
in Un
amore ardente a Cristo e alla Chiesa:
La proclamazione di santa Caterina da Siena Compatrona d'Europa (1 Ottobre
1999), da parte del Papa, ha suscitato
in me profonda emozione: è infatti da quasi sessant'anni che scrivo su questa straordinaria santa, evidenziandone la statura europea che, sopratutto nella sua epoca, il XIV secolo, costituiva un
fatto del tutto straordinario. Già durante il breve arco della sua vita terrena, Caterina attraeva e stupiva i suoi contemporanei che ne divulgarono rapidamente l'immagine e gli insegnamenti in tutta
Europa. Anche oggi la santa attrae e stupisce, risplendendo di vivida luce. "Caterina da Siena santa europea": sotto questo titolo ho raccolto alcuni miei scritti in un volume,
edito nel 1984, che mi permisi di offrire a Sua Santità (ndr. G.P.II), che aveva manifestato
particolare ammirazione per la santa, affermando che essa "è una grande opera di Dio".
(...) il Papa, nella "Mulieris dignitatem", aveva posto in evidenza le doti e la
missione della donna che Caterina aveva esercitato in una straordinaria missione politica ed
ecclesiale. (..) ..questa giovane di così modeste condizioni raggiunse, nei brevi trentatre anni di vita terrena che le furono concessi, vertici che ancora oggi ci sorprendono: toccò le vette della perfezione spirituale, fu chiamata maestra da un numero considerevole di discepoli fra cui si annoverano illustri teologi, docenti universitari, nobili di elevata cultura.
Fu ricevuta ed ascoltata da Papi, Cardinali, sovrani e capi di stato dell'intera Europa.
Riuscì ad ottenere il trasferimento della sede papale in Roma, dopo settant'anni di esilio
avignonese. Riuscì a rappacificare Firenze con lo Stato Pontificio, da tempo in guerra fra loro,
gettò le basi per la riforma della Chiesa, difese efficacemente il pontificato nel Grande Scisma
d'Occidente, esortò l'Europa, lacerata da guerre fratricide, ad unirsi nel nome di Cristo.
È un fatto "miracoloso" che una donna, di origini plebee, potesse nel lontano secolo XIV
intrattenere una corrispondenza politica con i potentati del tempo, ai quali si rivolgeva con tono di fermo comando, pur senza nulla perdere della sua abituale umiltà: la sua eloquenza era visibilmente dettata da quell'Amore che rende accettabili perfino le più concitate invettive.
(...)
La Chiesa la ha proclamata santa, il Pontificato Romano, riconoscente per l'opera da lei svolta in sua difesa,
la ha nominata Compatrona di Roma e, per la carità nella cura degli ammalati, Compatrona delle
infermiere; la sua azione pacificatrice fra gli statarelli della nostra penisola la fa venerare
Patrona d'Italia; la sua dottrina, acquisita per divina ispirazione e per le sue doti eccezionali di intelligenza, volontà, santità, che ha nutrito generazioni di persone avide di raggiungere quella perfezione spirituale alla quale tutti siamo chiamati, è stata riconosciuta esatta,
valida, ortodossa dalla Chiesa, che la ha nominata Dottore il 4 ottobre 1970. Mai una donna, nei quasi due millenni di cristianesimo, era stata insignita di tale titolo: Caterina da Siena e Teresa d'Avila sono le prime che hanno aperto la via per l'ottenimento di un tale titolo alle donne. In aggiunta Caterina, come terziaria, era pur sempre
laica e quindi la prima laica fra i
Dottori, tutti appartenenti alla gerarchia ecclesiastica.
Soprattutto nel nostro tempo, ancora contrassegnato da sanguinose lotte fratricide, la grande santa senese appare
portatrice dell'accorato messaggio di pace e concordia fra i popoli e di un esempio di cui gli uomini di oggi hanno particolare bisogno: amore e fedeltà a Dio e alla Chiesa.
(cfr. testo integrale nella pagina del sito: "Vita e Opere di Santa
Caterina")
->Giovanni Paolo II
(Karol
Josef Wojtyla, nato il 18.05.1920 a Wadowice, in Polonia; eletto Papa il
16
ottobre 1978; m. 2 aprile 2005 a Roma) interroga Santa Caterina.
Giovanni Paolo II, nell'annuale incontro con la comunità del Seminario Romano Maggiore, dopo aver ascoltato l'Oratorio sacro del M.° Marco
Frisina, intitolato a S.Caterina da Siena, ha rivolto ai Seminaristi un discorso in cui ha detto fra l'altro:
«In occasione delle mie precedenti visite ho avuto modo di riflettere per cosi dire ad alta voce con voi su molteplici aspetti dell'esperienza cristiana e vocazionale, prendendo spunto sempre dall'oratorio eseguito per la circostanza. Quest'anno sono venuto tra voi con una idea in mente, quella del 30° anniversario del Concilio Vaticano
II, una ricorrenza che con soddisfazione ho notato essere a voi ben presente. Ma dopo aver assistito con viva risonanza interiore all'oratorio di Santa Caterina da Siena, voglio dire che c'è una felice convergenza tra il carisma di Caterina e, diciamo così, il carisma del Vaticano
II, che potremmo definire passione per Cristo e, in lui, per il mistero della Chiesa....
Vorrei esortarvi a considerare il Vaticano II con uno sguardo che miri al suo nucleo profondo, al suo principio ispiratore, a quello che Paolo VI nella sua visita del '65 chiamò il suo "punto focale", cioè la sua meditazione sulla Chiesa...
Nel volto della Chiesa sappiate riconoscere i lineamenti di Cristo per appassionarvene, un amore appassionato per Cristo e per la Chiesa, questo è anche il messaggio che scaturisce dalla testimonianza di S.Caterina da Siena rappresentatoci dall'oratorio.
Un sentito apprezzamento ed un grazie cordiale va a Marco Frisina, agli attori e ai membri del coro ed all'orchestra che hanno riproposto in una sintesi vibrante l'esperienza spirituale della Patrona d'Italia.
Al centro di tale esperienza, il fuoco che ha santificato Caterina è proprio il suo amore per Cristo e per la Chiesa. La Divina Provvidenza volle che Ella sperimentasse misticamente tutta l'intensità di questo sentimento, senza tuttavia perdere il contatto con la concretezza della vita e della storia del popolo di Dio.
Fu così che Caterina si ritrovò a svolgere una parte da protagonista nella vita ecclesiale del suo tempo. E io ho pensato anche: "Che cosa mi dice, cosa mi dice Caterina: devo viaggiare di più o di meno ...?" E la risposta mi è venuta: "Si, viaggiare puoi, ma non trasferire mai la sede, la Santa Sede, da Roma...
Viaggiare si... Ma sempre tornare..."
Lo spirito d'amore che agì in maniera singolare in S.Caterina da Siena ha ispirato nei nostri tempi l'evento del Concilio Vaticano
II."»
(Dall'Osservatore Romano del 19-20 Febbraio 1996, pag.6)
La
testimonianza e le opere di donne cristiane hanno avuto significativa
incidenza sulla storia della Chiesa, come anche su quella della
società. Anche in presenza di gravi discriminazioni sociali le donne
sante hanno agito in "modo libero", fortificate dalla loro
unione con Cristo. Una simile unione e libertà radicata in Dio
spiegano, ad esempio, la grande opera di Santa Catwrina da Siena nella
vita della Chiesa. (Mulieris dignitatem, 15 agosto 1988, n.27 in fine)
->Giorgio
La Pira (n. Pozzallo, Ragusa 1904;
m.1977 Firenze; giurista, storico, deputato 1946-1948, sindaco
di Firenze 1951 e 1956) scrive di
S.Caterina:
Ricomporre l'equilibrio della cristianità
I - Caterina da Siena: personaggio di primo piano nella complessa scena politica europea del secolo XIV; perché se la tonalità di una personalità politica si misura dall'ampiezza del disegno e dalla complessità dell' azione, bisogna dire che questa tonalità assume in Caterina colori singolarmente marcati: nella prospettiva così disarmonica e così complicata che offre allo storico lo scenario vasto della politica europea del secolo XIV, la personalità di Caterina incide decisamente come elemento armonizzante e di equilibrio.
II - La critica storica, per sua natura scettica e guardinga ha cercato e cerca - con molta cautela, a dire il vero - di scolorire qualcuna delle tonalità profondamente vive che arricchiscono il
«quadro» dell'azione politica cateriniana: una giovane di 30 anni, senza armi, senza danari, senza milizie, senza strumenti e senza accorgimenti
«diplomatici», una popolana di una piccoola città d'Italia, potrebbe davvero essere considerata come un centro vitale di un
«sistema» politico che abbraccia l'Italia, l'Europa, la Cristianità intiera?
Il dubbio è lecito.
Ma nonostante questo dubbio, i fatti restano: sono lì, con la loro indistruttibile presenza, a disegnare ed a colorire questo quadro politico potente dovuto alla mente, al cuore, all'azione di Caterina.
III - L'architettura è semplicissima: una idea sola: ricomporre l'equilibrio della cristianità. La cristianità è costituita da tutti i popoli che Cristo ha generato alla Grazia: questi popoli costituiscono la membratura di un corpo unico, il corpo mistico della Chiesa di Cristo; c'è un corpo, ci deve essere un punto di eguilibrio, un centro, un capo: questo punto di equilibrio è Cristo stesso nella persona del suo Vicario: ma il Vicario di Cristo è il Vescovo di Roma: attorno a Roma, dunque, saranno gradualmente ordinate e l'Italia e l'Europa e l'intiera cristianità.
Tutto ciò che turba quest' ordine è male, e per l'eliminazione di questo male bisogna arditamente e senza tregua combattere. Visione semplicissima, organica, del problema politico essenziale del secolo XIV (e di tutti i tempi): Caterina lo vede, e dal momento che lo ha veduto essa non si dà più riposo: diventa la
«importuna» sollecitatrice di tutti i prìncipi d'Europa, l'ambasciatrice audace presso tutte le corti, la pellegrina instancabile per tutte le città, la vittoriosa consigliera e sostenitrice dei Pontefici.
IV - Cristo stesso le aveva detto in visione:
«Non farai più la vita che hai fatto sin qui: la cella non sarà più la tua consueta abitazione: anzi, per la salute delle anime ti toccherà
uscire anche dalla tua città. Io sarò sempre con te; che tu vada o ritorni; e porterai l'onore del mio nome e la mia dottrina a piccoli e grandi, sian essi laici, chierici, religiosi; metterò a la tua bocca una sapienza, alla quale nessuno saprà resistere. Ti condurrò davanti a Pontefici, ai capi delle Chiese e del popolo cristiano affinché per mezzo dei deboli, come è mio modo di fare, io
umìli la superbia dei forti» (Vita del B. Raimondo, Cantagalli, Siena 1934, p. 393).
La critica storica si allarma: una visione? Cos'è una visione? Noi diciamo: un fatto mistico; cioè uno dei più potenti fattori della storia umana (vedi, del resto, Bergson,
Les deux murces ecc., pp. 265 ss.). Comunque sia: la storia concreta svolta da Caterina non è che la traduzione esatta di questo
«mistico» invito a muovere principi e Pontefici per ricostituire l'unità dell'Europa dell'Italia e della Chiesa.
V - Certo è questo: già sin dal 1375, durante la sosta a Pisa presso i Gambacorta, Caterina ha una idea politica grande: la crociata. Ma quest'idea della crociata è in lei maturata come frutto di una ideazione politica più vasta che comprende insieme, inscindibilmente, i seguenti punti: 1) il ritorno del Pontefice da Avignone a Roma; 2) la pacificazione dell'Italia; 3) la pacificazione d'Europa.
La crociata deve servire, dal punto di vista politico, ad affrettare l'attuazione di questo disegno e deve costituire così il documento della pacificazione avvenuta.
Concezione ardita, luminosa: fare convergere verso un punto solo le forze discordanti d'Italia e d'Europa; portare fuori della società cristiana la guerra; mettere a servizio della pace d'Europa e dello stesso bene degli infedeli tutte le audacie militari delle compagnie di ventura che infestano l'Italia e la cristianità.
Concezione cesarea: linee sobrie, universali; non si può non sostare incantati!
VI - Avignone (giugno 1378): colloquio di Caterina con Gregorio XI. Alla proposta di Caterina di bandire la crociata, il Papa risponde:
«Sarebbe meglio che noi facessimo prima la pace fra i cristiani e poi facessimo il santo
passo».
Risposta di Caterina:
«Santo Padre, per pacificare i cristiani non potreste trovare una via migliore che comandare il
santo passaggio. Tutta questa gente armata che non fomenta che guerra in mezzo ai fedeli, andrà volentieri a servire Dio con quel loro mestiere... Rimossa la favilla anche il fuoco si spegne. Così, Santo Padre, nello stesso tempo, ed in una volta sola, avrete molti vantaggi: metterete la pace tra i cristiani che la desiderano e, perdendoli, salverete coloro che sono carichi di peccati... Da ciò, dunque, tre beni: la pace fra i cristiani, la penitenza di questi soldati, la salvezza di molti saraceni». (Vita, cit., p.
385; ed. 1994: prg 291).
Ma la crociata non è che un punto di un disegno più vasto: perché bisogna, anzitutto, riportare a Roma la sede apostolica, fare la pace coi fiorentini (e quindi con l'Italia), rimettere la pace in tutta la cristianità.
Non mancano le lettere a Carlo V, al Duca di Angiò; quest'ultimo anzi è pronto ad assumere il comando militare della crociata.
Conclusioni pratiche? Caterina giunge ad Avignone in giugno: in ottobre la corte pontificia fa già vela alla volta di Roma.
Un punto del vasto programma, il più importante, è attuato.
La pace coi fiorentini non è conclusa: sarà conclusa più tardi.
La crociata trova ostacoli insuperabili negli avvenimenti dolorosi di questi anni.
VII - Scoppia lo scisma: Caterina si impegna per la più grande battaglia: quella che tocca l'unità della Chiesa.
Meriterebbe qui illustrare l'azione gagliarda che questa giovane poco più che trentenne svolge presso i principi e gli uomini d'arme di tutta l'Europa per sostenere con incrollabile vigoria la causa di Urbano VI, legittimo pastore della cristianità.
VIII - Personalità politica di primo piano, tono fondamentale nel quadro politico del secolo XIV: le fila della cristianità sono unificate nell'idea e nell'azione di Caterina.
Un problema politico solo: ridare all'Europa, nella persona del Vicario di Cristo, l'equilibrio perduto.
È l'unico problema politico del mondo: ieri come oggi.
L'amore di Cristo lo suggerì al cuore verginale di Caterina; per la soluzione di esso questa creatura potente e dolce combatté senza soste; morì da combattente, consumata più che dalla fatica, dall'amore.
L'amore per i cristiani che essa vedeva così tristemente divisi; l'amore per quella sacra unità di tutti i popoli che costituì il
desiderio, l'ultimo desiderio, di Cristo: ut sint unum.
(Da Vita
cristiana 12-1940, 2-3, pp. 205-211; ripubblicato nella Rivista di Ascetica
e Mistica, ott-dic.2004)
->Giuliana
Cavallini (n. Roma 30 gennaio 1908 - m.29 marzo
2004; missionaria della scuola; direttrice del
Centro Nazionale di Studi Cateriniani).
Giuliana
può essere considerata la più grande
studiosa del pensiero, dell’opera e dell’esperienza mistica di Santa
Caterina da Siena. A lei dobbiamo l’edizione critica del Dialogo e
delle Orazioni, due delle opere che
la Santa
ci ha lasciato. Le 381 Lettere ad oggi mancano di una
edizione critica.
Nel
1978 Giuliana Cavallini pubblica per l’Editrice Città Nuova, il libro
dal titolo: “La verità dell’amore”. Questo testo può
essere considerato un ottimo strumento per conoscere
la Santa
Patrona
d’Italia e Dottore della Chiesa. Esso ci presenta Santa Caterina nei
suoi aspetti più importanti facendo cogliere al lettore il grande
messaggio che ella anche oggi ci trasmette.
Dal 1978
il libro era ormai esaurito, ma l’Editrice Città Nuova ha voluto, a
distanza di ventinove anni, scommettere di nuovo su Santa Caterina,
ristampando il libro che Giuliana Cavallini curò nel 1978 dedicandolo
alla memoria della Madre Luigia Tincani,
fondatrice delle Missionarie della scuola.
Nel
libro, corredato dalle note curate dall’autrice, troviamo una sintetica,
ma efficace e chiara biografia della Santa, poi l’autrice
introduce gli scritti, che rappresentano il messaggio che ella ci ha
lasciato. Gli scritti sono tutti dettati, perché Caterina non sapeva
scrivere e quindi redatti dai suoi discepoli.
Le
Lettere dell’epistolario
ci presentano il mosaico del mondo a lei contemporaneo;
attraverso i personaggi: Papi, re, regine, condottieri, signori di città
ecc. è possibile ricostruire dettagliatamente la società in cui ella
visse il suo pellegrinaggio terreno.
Ma il
pellegrinaggio terreno dell’umanità e la ricerca di
ogni singola anima nella luce della verità verso la pienezza
dell’amore, è espressa nel Dialogo. In quest’opera
è spiegata anche la dottrina del Cristo, ponte fra l’umanità e Dio.
Qui Giuliana Cavallini ben chiarisce, con
parole semplici, il significato dei tre scaloni: i piedi trafitti, il
costato aperto, la bocca del Cristo crocifisso.
Le
ventisei Orazioni, non sono che una minima parte, di tutte quelle
preghiere che
la Santa
pronunciava mentre era assorta in estasi.
Nella
quarta parte del libro, l’autrice affronta la dottrina cateriniana
che si identifica sostanzialmente con la
dottrina della Chiesa cattolica. Dopo l’esperienza del matrimonio
mistico con Nostro Signore Gesù,
la Santa
senese, vivrà tutta la sua vita in un tutt’uno
con la fede. Spiega molto bene come Dio è amore
e ogni sua opera è opera di amore, questa grande verità è
espressa nella redenzione, se Dio non avesse amato pazzamente l’uomo
non avrebbe fatto morire il suo figlio Unigenito.
La prima
parte del libro si conclude con l’attualità
del messaggio cateriniano. Esso va al
di là di ogni epoca. L’amore che segna tutto il suo pensiero
è carità. Le sue parole semplici, scritte in toscano trecentesco,
parlano anche a tutti noi, umanità del terzo millennio. Caterina
tratta, nelle sue opere, tematiche alte, ma
allo stesso tempo si esprime con un linguaggio che risulta essere
compreso da tutti.
Un altro
aspetto che la fa sentire oggi “una di noi”, è il suo costante
impegno nei confronti dell’umanità sofferente, la sua opera assistenziale
di infermiera volontaria, portata ai ricoverati dell’antico Spedale
di Santa Maria della Scala di Siena, il suo
servizio costante per
la Chiesa
e nella Chiesa. Nella nostra società ormai secolarizzata, Caterina oggi
ci aiuta a discernere il bene dal male, la strada da seguire da quella
da lasciare.
Giuliana Cavallini
in questo libro, ci guida anche nel capire
ciò che Caterina ha ancora da dirci e ha scelto di presentare
una Orazione e trentatre Lettere, accompagnate da un suo commento
critico che indubbiamente stimola il lettore ad andare a leggere anche
le altre.
Il libro
si conclude con una spiegazione della
proclamazione del dottorato cateriniano
avvenuta il 4 ottobre 1970 per volontà di Papa Paolo VI.
E’ un
testo che si rivolge a tutti, si legge facilmente, ed è uno strumento
efficace per introdurre il lettore
al personaggio di Caterina da Siena, lo fa apprezzare
stimolandone l’approfondimento.
Con
questa nuova ristampa de “La verità dell’amore”, l’Editrice
Città Nuova, ci ripropone una Caterina
moderna e attuale, presentata da una grande studiosa, che con i suoi
scritti è presente qui in mezzo a noi e lo sarà senz’altro anche
nelle generazioni successive.
A cura di
Giuliana Cavallini: Caterina da Siena, La
verità dell’amore,
Ed.Città Nuova 2007, p. 268,
Euro 18;
(Nota:-
cfr. Quaderno n.115 - Commemorazione di Giuliana Cavallini,
Ed.Cantagalli 2005)
(Franca Piccini)
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